Aurora è la parola latina per indicare l’alba, mentre Borea è il nome greco per il vento del nord.
Ci vogliono tre ingredienti per generare le aurore: un’atmosfera, delle particelle cariche ed energetiche, e un campo magnetico. La nostra Terra possiede atmosfera e campo magnetico, mentre le particelle cariche ce le mette il nostro Sole, per mezzo del vento solare. Dopo aver attraversato lo spazio che ci separa dal Sole gli elettroni e i protoni del vento solare arrivano nei pressi della Terra e incontrano il campo magnetico terrestre (che le indirizza verso i poli) e la nostra atmosfera fatta per il 78% di azoto e per il 21% di ossigeno.
Sono proprio questi due elementi a produrre i diversi colori quando appunto le particelle del vento solare si scontrano con gli atomi che compongono la nostra atmosfera. L’ossigeno atomico è responsabile del colore verde (lunghezza d’onda 557,7 nm) e l’ossigeno molecolare per il rosso (630 nm). L’azoto causa il colore blu-magenta.
Rende il tutto più magico sapere che questo spettacolo avviene a circa 100 chilometri sopra la nostra testa.
L’aurora in queste foto è stata ripresa dalle isole Lofoten in Norvegia ed è il risultato di 3 serate diverse.
Le impostazioni ISO della macchina fotografica variavano tra i 1800 e 3200 a seconda dei momenti di diversa intensità della luce. Anche i tempi di scatto erano variabili, e andavano da 4 secondi ai 15 secondi. Bisogna sempre prestare bene attenzione al movimento della luce dell’aurora che a tratti sembra veramente una tenda esposta al vento. Se il movimento è lento è preferibile abbassare gli iso e aumentare di qualche secondo l’esposizione, altrimenti si fa perfettamente il contrario per fare in modo che la luce non diventi una striscia verde e sfuocata senza alcuna trama.
Successivamente nella sezione “le ultime foto” spiegheremo con più dettagli la ripresa e lo sviluppo con software di alcune foto in particolare.
Iniziamo con i dati di scatto: Tempo 10 secondi – f18 – iso 100
Per avere un tempo di esposizione cosi lungo in pieno giorno, che serviva per creare l’effetto velo sul mare, naturalmente non basta chiudere il diaframma e usare bassi iso, abbiamo bisogno di un filtro ND. In questo caso è stato usato un filtro nd500 (allungando i tempi di 9 stop). E’ stato poi inserito insieme al filtro nd anche un filtro polarizzatore per esaltare di più l’effetto del riflesso sull’acqua. Per far emergere un po’ di più il riflesso basta regolare i livelli con qualsiasi programma di sviluppo foto e aumentare leggermente il contrasto. Per chi usa Photoshop è consigliabile fare una maschera di livello e contrastare soltanto la parte che ci interessa.
1° Parte
Siamo all’alba con il Sole alle spalle della fila di casette rosse, quindi una situazione non ideale e molto contrastata. Si potrebbe aggirare il problema facendo 2 scatti con 2 esposizioni diverse (una per il cielo e l’altra per le case) e poi unirle con un software, oppure, come in questo caso, si può portare l’istogramma al limite dell’esposizione a destra stando attenti a non bruciare le alte luci e poi recuperare le ombre con un software. In questo caso mi è stata di grande aiuto la alta gamma dinamica della Canon R6
Tipico esempio di contrasto duro. La graduale attenuazione dei toni scuri dall’alto verso il paese rende percepibile la profondità.
Mentre l’illuminazione debole della zona urbana è una sorta di diagonale del movimento delle nuvole, da sinistra fino in alto a destra, crea una leggera tensione dinamica.
Come spesso accade nella vita, anche le cose più belle e che credevamo immortali sono destinate a finire. Non fanno eccezione le stelle. Ma…………!!!
Sicuramente proviamo una sensazione di tranquillità guardando il cielo stellato con la sua bellezza apparentemente immutabile, ma l’universo non è un lungo tanto tranquillo. Le stelle nascono e muoiono con gigantesche esplosioni in un ciclo incessante ma a volte la morte di una stella può creare una visione d’ineguagliabile bellezza e formare in cielo strane strutture.
La foto che ho fatto riprende una parte della più grande nebulosa Velo, il resto appunto di una stella esplosa circa 8000 anni fa, l’immagine è centrata su una parte conosciuta meno formalmente come Nebulosa Scopa della Strega, più conosciuta nel mondo astronomico come NGC6960 (La stella brillante al centro dell’immagine è 52 Cygni, non connessa all’antico resto di supernova).
L’onda d’urto dovuta all’ esplosione si espande nello spazio eccitando il materiale interstellare. I brillanti filamenti, ripresi con filtro a banda semi-stretta, formano delle lunghe increspature solcate da altre trame ben distinte. Idrogeno (rosso) e ossigeno (blu-verde). La Nebulosa Scopa di Strega si estende per circa 35 anni luce. (con una delle nostre sonde più veloci impiegheremmo circa 630.000 anni a percorrerla tutta)
Ma ……… !!! è anche vero che quel materiale che resta della stella andrà ad arricchire altre nebulose dove poi nasceranno altre stelle e altre meravigliose storie.
Come è stata fatta questa foto: Iniziamo con il dire che sono circa 3 ore di esposizione. L’obiettivo usato è un apocromatico da 450mm di focale e 71mm di diametro. La camera di ripresa è una asi 183mc portata alla temperatura di 5 gradi centigradi con un gain (sensibilità) a 250. Sono tutti scatti da 240 secondi. Naturalmente il tutto su una montatura equatoriale stazionata benissimo per compensare la rotazione terrestre. Sono stati poi fatti dei dark frame, praticamente delle foto con il tappo sull’obiettivo ma con lo stesso tempo di esposizione e stessa temperatura, per eliminare il rumore elettronico della macchina dall’immagine finale che ci rilascia il programma che sviluppa la foto. E’ più corretto usare l’espressione sviluppo della foto e non elaborazione trattandosi di un’immagine a 32 bit quindi molto profonda di segnale che quando la apriamo con qualsiasi programma risulta praticamente nera. A quel punto iniziamo a sviluppare la foto e a tirare fuori il segnale accumulato nelle 3 ore di ripresa.
Naturalmente queste foto vengono effettuate con un telescopio solare in h-alpha. E’ stata usata una camera di ripresa cmos asi 183mc collegata direttamente al telescopio.
Di solito uso il software sharpcap per catturare i filmati in avi con un ROI abbastanza piccolo per poter avere più frame possibili in un tempo relativamente breve (al massimo 75 secondi) per scongiurare anche il minimo effetto rotazione del sole.
Per le protuberanze uso un gain di 200 e un tempo di 10ms, mentre per la fotosfera uso sempre il tempo di 10ms ma un gain di 70.
Quindi vengono ripresi dei filmati, (non a colori) anche di 8000 frame, che poi vengono gestiti usando il programma Autostakkert che ci restituisce un grafico di qualità, a quel punto dobbiamo essere bravi a scegliere la percentuale giusta dei frame, in base appunto alla qualità delle immagini, (per fare un esempio sulla prima foto sono stati usati soltanto 400 frame su 8000) e scegliere la giusta “image stabilization anchor” che il programma prenderà come ancora per la somma delle foto. Per la fotosfera si può lanciare Place AP grid, dobbiamo soltanto scegliere la grandezza, mentre per le protuberanze i punti di griglia li inserisco manualmente soltanto sulle protuberanze e sul profilo del sole.
Poi si lancia lo stack e il programma provvederà ad allineare le immagini scelte e a sommarle.
Prova di ripresa della stazione spaziale internazionale con telescopio.
Ho usato un telescopio meade schmidt-cassegrain con camera asi zwo 178. Inseguimento con telescopio in parallelo
Per l’acquisizione è stato usato il programma sharpcap con i seguenti dati: 1,6 ms con gain 250, gamma 50.
Il campionamento ottimale per pixel da 2,4 è 13,2 mentre io avevo un valore 10 quindi non il massimo.
Scoiattolo ripreso con tempo di scatto di 1/4000 di secondo, diaframma 5,6 – focale 400mm
L’importante è essere perpendicolari alla traiettoria del salto, messa a fuoco manuale sul punto dove potrebbe saltare e poi aspettare. E’ chiaro che avevo già notato che quello era uno dei punti preferiti per spiccare il salto.
Sicuramente chi ha visto il film “I sogni segreti di Walter Mitty” con Ben Stiller riconoscerà questi posti. Famose sono le scene di Walter Mitty che sfreccia su un longboard lungo queste strade della penisola di
Snæfellsnes. Quando Mitty, arriva sulle coste islandesi, arriva proprio nel porto di Grundarfjörður. (foto 3). E proprio poco prima che lui arrivi al porto si intravede alle sue spalle il monte Kirkjufell, detto il “Monte chiesa” per la sua forma che va ad assomigliare alle classiche chiese islandesi.
Icona dell’Islanda (Gallery a fondo pagina)
In islandese significa montagna della chiesa, è alta 463 metri ed è situata nella penisola di Snæfellsnes in prossimità della costa nord. Deve il suo nome alla sua forma particolare, che per gli islandesi ricorda il campanile di una chiesa.La sua forma particolare è dovuta all’azione di ghiacciai che ne erosero le pareti. All’epoca doveva apparire come una sommità rocciosa che svettava al di sopra di una distesa di ghiaccio.A rendere davvero unico e speciale questo luogo però, è anche la cornice naturale in cui si trova. Il colore verde dei prati circostanti e la cascata di Kirkjufellsfoss che con due salti, non imponenti per la verità, ma suggestivi, si getta in un laghetto sottostante. Tutto questo l’ha resa proprio la montagna più fotografata d’Islanda e una tra le più belle al mondo secondo un sondaggio del Telegraph.Vedendola da altre prospettive, però, la montagna è somigliante a un cappello da strega o persino a un gelato appena macinato. Per chi, invece, è amante della serie Game of Thrones, la vetta può apparire come una “punta di freccia”
Foto 1-2 Il monte con i salti della cascata Kirkjufellsfoss
Foto 3 – Il monte fa da sfondo al piccolo porto di Grundarfjörður
Foto 4 – Il monte sotto una debole aurora boreale ma con sopra la sua cima le stelle del grande carro dell’orsa maggiore
Foto 5 – Cascata Kirkjufellsfoss